Donald R. Burleson è un personaggio bizzarro. Matematico, docente universitario, direttore di un laboratorio informatico in New Mexico, studioso di ufologia (risiede a Roswell, capitale mondiale degli enigmi extraterrestri), crittografia e H.P. Lovecraft, batterista jazz e ateo convinto, ha scritto una notevole quantità di pregevoli racconti brevi, pubblicati sulle più importanti riviste di genere, come Twilight Zone, 2AM, The Magazine of Fantasy and Science Fiction,
Deathrealm, Terminal Fright, Lore e Wicked Mystic. Racconti che fanno paura.
Le pubblicazioni delle sue storie nelle più famose antologie del settore non si contano. Un suo romanzo, Flute Song, è stato candidato per il Bram Stoker Award. David Aniolowski, scrittore, curatore di antologie e della rivista Deathrealm, non ha esitato a definire Burleson "the finest living author of the short horror story in America."
Un curriculum di tutto rispetto, ma Burleson è, di fatto, un emerito sconosciuto nel nostro paese: pur avendo pubblicato tre raccolte di racconti, tre romanzi, due studi critici su HPL, articoli di ufologia e innumerevoli trattati che esulano dal fantastico, il sottoscritto è riuscito a trovare un solo testo tradotto nella nostra lingua, “L’ultima cena”, incluso nell’antologia della Newton Storie dell’Orrore e ne L’Abisso di Cthulhu della Fanucci. Misteri dell’editoria italica.
A Lantern
Frail and paper thin,
Hanging, nodding,
Desperate to heal
The black foulness of the night
With its feeble cold scalpel
Of pallid light.
But the dark beyond the lamplight
Holds its fever to itself,
Turns in its charnel-sweet folds,
Writhing with a life
Cold and phosphorescent
As the blind eye of a fish,
Needing no lantern’s glow,
To see the puffy gloating
Of its own dead face
Or feel the fear it feeds upon,
Mouthing and leechlike
In the secret claybed of its glee.
Con questa poesia si apre Beyond the Lamplight – Stories from the Dark, terza raccolta dedicata all’autore edita dalla Jack O’ Lantern Press nel lontano 1996. Ed è un’opera di cui “nessun amante del macabro dovrebbe fare a meno,” come dice Ramsey Campbell (altro illustre desaparecido dai nostri scaffali) nella sua introduzione al volume. Dopo aver terminato il libro - chiudendo un occhio sulla copertina e sulle pessime illustrazioni interne - il lettore non potrà fare a meno di pensare che, no, non si trattava di una frase fatta, di un fastidioso specchietto per allodole posto in copertina per titillare le sinapsi e il portafogli dello sprovveduto appassionato dell’orrido. Ramsey Campbell, da sempre fine osservatore dello sfaccettato universo del terrifico, aveva proprio ragione.
Il volume consta di 340 pagine per ben 34 racconti; storie brevi dunque, da leggere tutte di un fiato, magari prima di andare a dormire (anche se, per una buona riuscita della fase R.E.M., mi sento di sconsigliarlo), suddivise in cinque sezioni: DARK PRESENCES, DARK PLACES, DARK DEEDS, THE DARK OF THE MIND e THE DARK OF THE SOUL. L’oscurità, che si annidi in una casa abbandonata o nella psiche dei personaggi, è il filo conduttore di questi racconti.
Lo stile di Burleson è diretto, semplice, sempre in bilico tra orrore e humour nero - che più nero non si può. L’autore è un maestro nel tormentare il lettore con una tensione narrativa fuori dal comune, pennellando indelebili affreschi a tinte fosche; proprio questo è il pregio del professor Burleson, la capacità di regalarci immagini e ambientazioni mozzafiato, coinvolgendoci verosimilmente in situazioni assurde, al limite del comico. Un effetto raggiunto anche grazie a un sapiente uso dei dialoghi, che appaiono spontanei, reali.
Citare un racconto piuttosto che un altro è davvero difficile, perché – non mi capitava da diverso tempo, e anche questa è stata una piacevole sorpresa – tutti sono sopra la media. In qualche modo questa antologia ricorda Night Shift di Stephen King, per l’estrema varietà di situazioni e per l’efficacia di ogni singola storia.
In “Hair of the Dog” un impiegato alcolista è perseguitato dai peli del suo cane morto… detta così sembra ridicola, ma posso assicurarvi che il racconto è agghiacciante. “Gums” è una delle cose più rivoltanti mai lette dal sottoscritto, un racconto che farà la gioia anche dei più fedeli sostenitori dello splatter.
“Kokopelli” è una storia squisitamente lovecraftiana, infarcita di antiche leggende indiane, “ Hopkins House” rivisita in maniera innovativa il trito tema delle case maledette, “Milk” è una versione moderna de “La polvere bianca” di Arthur Machen, riprendendo il tema della dissoluzione corporale inaugurato da Poe con “La vicenda del signor Valdemar”.
I campi dell’horror affrontati da Burleson sono eterogenei, sebbene l’autore sembri avere una predilezione per le paure che emergono dall’inconscio, per gli incubi che circondano l’universo infantile e che spesso possono tornare a materializzarsi nell’età adulta; i bambini protagonisti dei racconti assumono di volta in volta il ruolo di vittime o carnefici, gli adulti meditano sull’infanzia assillati da un angosciante senso di perdita… destinato a non durare. E’ il caso di “Walkie Talkie” e “Mulligan’s Fence,” in cui ricordi nostalgici assumono terribili sfumature nel presente. Oppure di “Ziggles”, dove l’amico “immaginario” di cinque alunni fa fare una brutta fine al loro professore, o ancora “The Treehouse” che narra la vicenda di un bimbo alle prese con il classico rito d’iniziazione per entrare a pieno titolo nella combriccola di quartiere – gli esiti sono a dir poco spiacevoli.
“Sunflower” è la cronaca dettagliatissima, quasi fotografica, di quello che capita a una povera ragazza dalla pelle delicata che si addormenta su una spiaggia battuta dal solleone, che insieme a “Melons” (due pagine di puro delirio, un finale tremendo) costituisce un’altra scorreria nel sanguinolento territorio dello splatterpunk .
L’autore pare inoltre divertirsi moltissimo ad animare gli oggetti più disparati, facendoli possedere da malefiche entità; succede a una vecchia macchina fotografica in “Brownie” e a degli avanzi di cibo abitati da spiritelli vendicativi (!) in “Leftovers.” La fantasia di Burleson in questo testo raggiunge picchi difficilmente eguagliabili.
L’orrore non sempre cavalca il soprannaturale, ma proviene anche dall’emarginazione, dalla paura per i diversi, dall’indifferenza; lo confermano numerose storie incluse in Beyond the Lamplight, che trovano il loro habitat nei vicoli scuri delle metropoli, dove si muovono homeless sudici e alcolizzati, oppure in sciatti appartamenti occupati da persone anziane abbandonate al loro destino.
Ce n’è comunque per tutti i gusti: zombies, temibili vecchiette, commesse omicide e aberrazioni di ogni sorta fanno bella mostra di sé dalle pagine del libro, trascinando il lettore in un vortice senza ritorno… perché, attenzione, queste macabre pillole horror danno dipendenza!
Consigliatissimo. Divorerete questi racconti, e poi ne vorrete ancora.
Qui potete cominciare con un assaggino.
Bibliografia essenziale
Saggi
H. P. Lovecraft: A Critical Study – Grenwood Press, 1983
Lovecraft: Disturbing the Universe – University Press of
Romanzi
Flute Song – Black
Arroyo – Black
A
Raccolte
Lemon Drops and other Horrors – Hobgoblin Press, 1987
Four Shadowings – Necronomicon Press, 1994
Beyond the Lamplight-Stories from the Dark – Jack O’ Lantern Press, 1996
Sono curiosa....com'è questo Kokopelli?E' un personaggio dei racconti Hopi che mi ha sempre incuriosito!
RispondiEliminaElisa B.
Kokopelli è una divinità Navajo simbolo della fertilità, ma in questo racconto perde tutti i suoi attributi positivi!
RispondiEliminaCaro Gigi, complimenti vivissimi per l'ottimo blog, e considerami un fedele lettore!
RispondiEliminaA proposito, il plico con il testo inedito di HPL è partito oggi per prioritaria...
Per il resto (Machen, Jacobi ecc.) ci sentiamo con calma via email questo fine settimana...
Ad majora!
Pietro
Ciao Pietro,
RispondiEliminaè un piacere averti qui! Pacco ricevuto e a dir poco libidinoso!
Ci sentiamo presto, ciao