venerdì 11 febbraio 2011

Recensione: Vanishing on 7th Street di Brad Anderson


Io per Brad Anderson nutrivo delle speranze. Davvero. Non che i suoi film precedenti mi avessero fatto gridare al miracolo, ma Session 9 era un ottimo esempio di come si possa realizzare un buon thriller soprannaturale con pochi mezzi e una sceneggiatura valida, mentre L’uomo senza sonno puntava tutto sulla metamorfosi fisica di Christian Bale, mostrando però interessanti spunti visionari e una tecnica registica niente male. Insomma, seguivo Anderson con interesse, considerandolo uno dei cineasti più promettenti dell’ultima generazione.
Purtroppo, Vanishing on 7th Street spazza via quanto fatto di buono dal regista statunitense in un’ora e mezza di pura inconsistenza filmica.
La trama: un blackout totale precipita la città di Detroit nell’oscurità. Quando torna la luce, la maggior parte degli esseri umani si è volatilizzata, lasciando dietro di sé una scia di abiti vuoti, veicoli abbandonati e interrogativi per i pochi rimasti. Il sole, col passare dei giorni, tramonta sempre prima, fino a scomparire del tutto. L’oscurità è una cosa viv,a e inquietanti profili umani di tenebra sono in agguato ovunque. L’unico modo per difendersi è procurarsi una qualsiasi fonte luminosa e non farsi toccare dalle ombre.
Quattro sopravvissuti (un reporter, una donna che ha perso il figlio, un ragazzino di colore e l’addetto alla sala proiezioni di un cinema) trovano rifugio in un bar dove la corrente è alimentata da un generatore a benzina. Il buio preme sullo stabile, pronto a ghermirli. Cosa faranno una volta finito il carburante per il generatore?
Fin qui, niente che non si sia già visto: la tipica apocalisse di natura ignota che spazza via l’umanità, lasciando alcuni poveracci a vedersela con la sopravvivenza. Brad Anderson non ci aveva certo abituato a storie particolarmente originali, quanto piuttosto a un’approfondita analisi psicologica dei personaggi, sempre ricercata, mai banale. In Vanishing on 7th Street questo elemento viene a mancare e siamo costretti a sorbirci le inconcludenti azioni di quattro fantocci in balia di una notte perenne. Non c’è un minimo di spessore, un filo di approfondimento che faccia emergere una figura rispetto a un’altra. Solo qualche flashback a illustrarci come si sono salvati dall’annullamento definitivo i quattro.
C’è da smaronarsi di brutto, a vedere questo film. La prima mezz’ora è un tripudio di vestiti vuoti afflosciati sulle sedie, per le strade, nelle automobili. Non so voi, ma io dopo venti minuti di espressioni terrorizzate dei protagonisti di fronte a tanti di quei capi d’abbigliamento che nemmeno a una sfilata di D&G, avevo già voglia di mollare la visione.
Nel bar la situazione non migliora. Comincia il balletto delle supposizioni, delle ipotesi sull’origine della catastrofe. Qui c’è da divertirsi al cospetto delle banalità che escono dalla bocca dei personaggi.  Interpretazioni mistico-religiose del tipo: “siamo all’inferno, forse è stato Dio, se ci facciamo prendere dalle ombre magari andiamo in paradiso”. Complimenti. Il ritmo del film passa dal livello-lumaca al livello-tartaruga.
La palpebra si risolleva quando viene tirata in ballo l’inquietante vicenda della colonia perduta di Roanoke, che alla fin fine, però, pare buttata lì tanto per alimentare il mistero e creare ancora più confusione in una sceneggiatura già confusionaria di suo. Peccato, perché questo avvenimento storico poteva essere sfruttato in modo decisamente migliore e costituire un’ottima base per la pellicola.
Anche la recitazione non fa nulla per risollevare le sorti di Vanishing on 7th Street: Hayden Christensen nel ruolo del reporter avrebbe potuto benissimo interpretare una delle ombre, tanta è la sua espressività, mentre John Leguizamo e Thandie Newton offrono una prova fatta di espressioni esagerate e comportamenti isterici che risultano presto poco digeribili.
Fotografia e scenografie dai toni cupissimi, ma niente che possa rivaleggiare con le tonalità malate e disturbanti di L’uomo senza sonno.
Per chiudere, in questa pellicola non c’è nemmeno qualcosa con cui appagare l’occhio, se non effetti digitali di un piattume desolante (ombre, ombre che strisciano sempre e ovunque, realizzate neanche tanto bene).
Peccato, perché dalla vicenda di Roanoke, da quel Croatoan lasciato inciso dalla colonia scomparsa su una palizzata, avrebbe potuto nascere qualcosa di buono.
Per me questo film è stata una profonda delusione. Da evitare, sperando che il buon Anderson rinsavisca…

1 commento:

  1. Anche io nutrivo buone speranze per questo film. Il mistero della colonia scomparsa è una storia validissima, spero che il prossimo tentativo verrà affidato a qualcuno che saprà sfruttare meglio questa opportunità.

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