lunedì 17 gennaio 2011

Communion di Philippe Mora

Communion, film per la TV del 1989 diretto da Philippe Mora, parla di rapimenti alieni. Incontri ravvicinati del quarto tipo. Considerando le innumerevoli sfaccettature del fenomeno UFO, questa è senza dubbio la più inquietante. Svegliarsi nella propria camera circondati da esseri macrocefali dagli enormi occhi neri, venire risucchiati all’interno di un’astronave per essere sottoposti a dolorosi esperimenti medici (quando va bene) e, soprattutto, non essere in grado di reagire, come spesso capita nei peggiori incubi: riuscite a immaginare di peggio? Io no, davvero. Senza entrare nel discorso gli-UFO-esistono-non-esistono, ché non è questa la sede, l’argomento abduction mi ha sempre fatto una fifa tremenda, e credo me ne farà finché campo.
Da ragazzino, intorno ai dieci anni, qualsiasi cosa riguardasse gli Unidentified Flying Objects mi affascinava enormemente. Ero abbonato alla rivista ufficiale del CUN, Notiziario UFO, leggevo i libri di Roberto Pinotti e Corrado Malanga con la bava alla bocca, mi compravo le VHS con riprese sgranate di bolidi alieni e cercavo di guardare ogni film che si occupasse della materia. E poi la notte non dormivo. O andavo a dormire nel lettone con i genitori, pregando di non vedere strani luci azzurrine ballonzolare fuori dalle persiane.
Speravo che Communion potesse farmi rivivere qualche sensazione simile (be’, magari le sensazioni provate dormendo nel lettone coi genitori no), ma non è andata così.


La filmografia dedicata ai casi di abduction è esigua, e il mediocre Il Quarto Tipo di Osunsanmi niente ha fatto per rimpolpare un già magro filone.
Un paio di giorni fa sono andato a recuperare questo film di fine eighties che non avevo ancora avuto occasione di vedere, incuriosito dalla presenza nel cast di Cristopher Walken, attore che stimo e che ha già regalato ottime prove all’interno del nostro genere preferito.
La sceneggiatura di Communion è opera di Whitley Streiber, ed è tratta dal suo libro omonimo. Forse questo nome non vi suonerà nuovo, perché Streiber è uno scrittore horror. E qui confesso la mia ignoranza, mai letto niente di suo. Streiber, tra le altre cose, è autore del romanzo The Hunger, da cui è stato tratto il film con David Bowie Miriam si sveglia a mezzanotte. 
Però Communion non è un romanzo. Communion è uno scritto autobiografico – bestseller negli States –, in cui Strieber racconta del suo contatto con esseri extraterrestri da lui denominati semplicemente “i Visitatori”.  E il film ripercorre proprio questa esperienza.


Streiber, interpretato da Walken, sta lavorando al suo ultimo romanzo, ma la stesura del libro non procede come dovrebbe. In compagnia di una coppia di amici, della moglie Anne e del figlio Andrew, il romanziere si reca nella sua casa di campagna per trascorrere un weekend di assoluto relax. Ma sin dall’arrivo cominciano a verificarsi strani eventi: l’impianto di illuminazione esterno fa i capricci, le luci si accendono e si spengono senza motivo e il bambino fa strani discorsi dopo aver visto un ragno nella sua camera.
Trascorsa una piacevole serata, gli esseri umani vanno a dormire.
Ed entrano in scena gli alieni.
Una luce abbagliante circonda l’abitazione e Streiber si sveglia nel suo letto. Dietro la porta della camera scorge un’esile creatura con grandi occhi d’insetto, che lo addormenta puntandogli verso la testa una sorta di penna luminosa.
Quando lo scrittore si sveglia, sente il figlio urlare. Corre nella sua camera, cerca di tranquillizzarlo, ma il bambino giura di essere stato rapito da strani esseri che chiama “i piccoli dottori blu”. 
La mattina seguente anche gli amici di Streiber sostengono di aver visto la luce, sono terrorizzati, e l’allegra combriccola abbandona la campagna per tornare in città. Lo scrittore attribuisce la visione degli strani esseri a un incubo, e la luce blu a un non meglio precisato campo magnetico.
Mesi dopo, durante una festa di Halloween, Streiber perde completamente la testa alla vista di una ragazzina travestita da insetto.
Fin qui, il film procede abbastanza bene, nonostante una certa lentezza e qualche buco nella sceneggiatura. Parliamo di una pellicola per la TV, dunque la regia non fa faville, ma la buona prova di Cristopher Walken nella parte dello scrittore tormentato dai dubbi tiene desta l’attenzione, anche se a volte pare ridere un po’ troppo e reagire in maniera inconsulta ad alcuni episodi. L’attore americano è a suo agio nel rappresentare il lento declino psicologico di Streiber, e anche Lindsay Crouse nel ruolo della moglie lo sostiene con una solida interpretazione, ponendosi a controparte razionale del marito, madre premurosa che fa di tutto per evitare lo sgretolarsi degli assetti familiari.
La prima scena di abduction, pur realizzata con mezzi limitati, è buona e inquietante; il “grigio” nascosto dietro la porta fa correre più di qualche brivido lungo la schiena.


Arriva Natale e la famiglia Streiber torna nella casa di campagna per trascorrere le feste. Gli alieni si fanno rivedere – una creatura robotica che sembra un Playmobil fa un’imboscata a Cristopher Walken in una simil-parodia del manichino di Profondo Rosso, strappando uno sghignazzo allo spettatore – e Whitley va fuori di testa, prende un fucile, comincia a sparare per casa e rischia di ammazzare la moglie. E rischia pure il divorzio, vorrei ben vedere.
Segue l’iter classico dei soggetti addotti: visite dal medico di famiglia, ipnosi regressiva, sedute di gruppo.
Le sessioni ipnotiche riportano alla luce le esperienze vissute da Whitley durante i rapimenti: lo scrittore si trova in una stanza circolare invasa da un fumo denso, attorniato da creature tracagnotte e rugose – “i piccoli dottori blu” – e da esseri magrissimi, dal cranio sproporzionato, che fluttuano all’interno dell’astronave. I simpatici alieni tirano fuori tutto il loro arsenale di test medici invasivi, trapanazioni craniche e sonde rettali incluse. Poco a poco, Streiber si convince che le sue visioni non sono frutto dello stress, né incubi, ma che potrebbero scaturire da un evento reale, vissuto. Anche questa parte del film si assesta su livelli discreti: il ritmo accelera e le scene di ipnotismo conferiscono un ulteriore, inquietante tassello alla pellicola, soprattutto grazie all’interpretazione di Frances Sternhagen nella parte della psicologa.


E poi ecco che arriva il patatrac, perché da questo punto in avanti la pellicola impazzisce, trasformandosi in puro delirio.
Whitley torna da solo nella casa di campagna e viene nuovamente rapito dagli extraterrestri.
E io davvero, davvero non so come interpretare la farneticante mezz’ora finale di questo Communion. Vi dirò solo che “i piccoli dottori blu” si mettono a ballare la bossanova, e Cristopher Walken ancheggia con loro, in una scena girata con un taglio onirico a dir poco fastidioso. Il risultato è ridicolo, incomprensibile. E questo è il meno, sul serio.
Streiber torna a casa dalla moglie ed è felice. Si è convinto che la sua esperienza sia autentica, sonda rettale grossa come un mattarello compresa, e lui è felice perché ne ha preso coscienza.
In compagnia della consorte, sguardo fisso in camera – e mi viene l’atroce dubbio che Osunsanmi si sia ispirato a questa scena per il penoso finale di Il Quarto Tipo – Streiber-Walken si lancia in pretenziose e confuse ipotesi mistiche sull’origine degli alieni.

Ho fatto fatica a non interrompere la visione, anche perché, dopo la prima ora dil film tutto sommato godibile, non mi aspettavo certo una svolta tanto repentina nei territori del surreale più becero e inconcludente.
Alien-movie che fa dei suoi punti di forza l’interpretazione di Walken e un paio di scene riuscite nonostante gli effetti speciali low-budget. C’è poco altro. Consigliata la visione ai soli appassionati di tematiche extraterrestri.
Ah, il tema musicale portante del film è opera di Eric Clapton. Un’altra delle poche cose da salvare.
E adesso cercherò di recuperare il libro (sì, sono masochista), sperando di far luce sulle sequenze finali del film…

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