mercoledì 24 febbraio 2010

Abattoir: nel Mattatoio con Ian Delacroix.


Una donna se ne sta seduta in una stanza vuota, sciatta. La sua testa getta un’ombra oscena, deforme, sulla parete. Si scorge il profilo di una sedia, il lucore appena accennato di una scarpa. La donna, completamente vestita di nero, regge tra le mani una bambola fasciata di pizzi e merletti bianchi. I lunghi capelli corvini della signora incorniciano un volto che non è volto, solo una massa indistinta, un ovale di carne privo di tratti somatici.
Questa è una breve descrizione della copertina di Abattoir, antologia di Ian Delacroix edita da Edizioni XII, un’immagine che nella sua semplicità ho trovato davvero raggelante. Ed è un’immagine che si adatta perfettamente alle undici storie racchiuse in questa antologia, undici racconti spaventosi nella loro semplicità. Semplicità che, attenzione, non è banalità; perché Delacroix, attivo da anni nell’underground italico, con le parole ci sa davvero fare.
L’autore ha il dono di sapere fare leva su paure comuni, portando il lettore in un territorio da incubo grazie a una scrittura attenta, puntando su un impianto descrittivo che ho trovato superbo (eh, mi piacciono le descrizioni, quando ne trovo di valide e originali gongolo, non posso farci niente.)
Il burattinaio nero apre le danze con Oratorio di Natale; è una mazzata, uno di quei racconti che sembrano scavare negli incubi dell’infanzia e che, come questi, si stampano indelebilmente nella memoria. Se da bambini avete passato le vostre domeniche pomeriggio, magari sotto le festività natalizie, in un oratorio parrocchiale, dopo aver letto questo racconto capirete cosa intendo. Come non avvertire un brivido leggendo una frase simile:
“Non c’era nulla di sacro nello spettacolo cui stava assistendo, solo muri di devianza. Anche l’odore che si spandeva da quel luogo, acre e nauseante, era sbagliato. Una donna si voltò e guardò nella sua direzione, attraverso la fessura che lo proteggeva. Poteva vederlo. Occhi bianchi. Dilatati.” Bello eh?
Il secondo racconto, Mattatoio, conferma ciò che già si intuiva dal primo testo, ovvero un’attenta analisi psicologica dei personaggi. I protagonisti delle vicende di Delacroix sono uomini e donne inseguiti da un passato terribile o, ancora peggio, scivolati in un’apatia senza ritorno. Proprio come i ragazzi di questo racconto che, stufi delle solite serate, decidono di passare il sabato notte in una discoteca dal poco avvenente nome di Mattatoio. Ian abbandona le paure mentali dell’Oratorio per catapultarci in una mattanza di carne e sangue che fa onore al titolo della storia, in un crescendo truculento che farà felice anche i die-hard fan dello splatter. Pezzo dalle tinte barkeriane, sorretto dall’oscura colonna sonora di Sister of Mercy e Skinny Puppy.
Ancora sorpresi dalla delirante carneficina della discoteca più inquietante d’Italia veniamo catapultati nella Venezia di Vieni, tra le mie braccia, scritto a quattro mani con Zefiro Mesvell. E qui parto col pistolotto.
Racconti di ispirazione lovecraftiana. Non ho mai nascosto la mia devozione per il Solitario di Providence, né la convinzione che, quando gli scrittori contemporanei si confrontano col Maestro, il rischio di scivolare nella mediocrità è davvero alto. Cosa che non accade per questo racconto, forse quello che più mi è piaciuto del volume. C’è tutto quello che si può desiderare: un’ambientazione “acquatica” perfettamente calata nello Stivale (wow, c’è addirittura una Venezia di sotto, ma che volete di più?), dei bambini non proprio innocenti, una creatura ributtante e un epilogo che rivaleggia con le soffuse atmosfere del finale de L’Ombra su Innsmouth. Il tutto farcito da una buona dose di originalità. Davvero un bel pezzo, che ha le sue fondamenta negli ottimi dialoghi e nelle atmosfere.
Si passa a Non chiedergli il colore dei fiori, per cui vale più o meno lo stesso discorso fatto per Oratorio di Natale. Siamo in un luna park, stavolta.
Ricordo che quand’ero piccolo il circo, le giostre, esercitavano su di me uno strano fascino. Una sera andai in trasferta con alcuni amici in un paese vicino per assistere allo spettacolo della “Donna Gorilla,” allestito da un piccolo luna park itinerante. Ridevamo, chissà che cazzata, dicevamo. Be’, in effetti fu uno show ridicolo (la ragazza, una bella biondina, se ne stava chiusa in gabbia e tramite qualche raffazzonato gioco di proiettori le crescevano dei peli in faccia), ma anche spaventoso (le luci si spegnevano, un tizio travestito da gorilla sostituiva la donna per poi divellere le sbarre e lanciarsi sul pubblico.) Ecco, quando ho letto questa storia mi è tornata in mente quella lontana serata. Solo che nel testo di Ian c’è una “Donna Serpente.”
E poi la volta del “trittico di scatole,” storie che hanno come protagonisti piccoli scrigni di terrore.
In Scatola # 1 un pendolare riceve in regalo una scatola contenente un foglio che recita:

Che tu sia maledetto.
Chiunque legga queste parole acquisisce il diritto sulla scatola.
Colui che aprirà la scatola è destinato a morire, così è scritto.
Colui che conserverà la scatola per un numero di ore che superi due volte la dualità, ovvero due volte sei volte sei, è destinato a morire, così è scritto.
Che tu sia maledetto.

Inizia così un frenetico balletto per liberarsi della scatola tra colleghi d’ufficio, affrancarsi da una maledizione che pare assurda, ma che potrebbe anche realizzarsi…
In Scatola # 2 Delacroix ci conduce in una città multietnica, una moderna Chinatown di carpenteriana memoria in cui la comunità cinese gestisce traffici criminali. Il protagonista del racconto è un piccolo delinquente di quartiere che deve consegnare una scatola datagli dal Cinese, il famigerato boss orientale che regna sulla città. Con la promessa di non aprirla, per nessun motivo. Inutile dire che le cose non andranno come previsto.
La terza scatola, invece, contiene un pupazzo a molla, e viene acquistata da un giovanotto desideroso di festeggiare Halloween con la sua ragazza nel migliore dei modi. Al di là della storia, molto lineare, qui Ian è grandioso nelle sue citazioni, che ci fanno comprendere la sua conoscenza dell’universo fantastico. Mentre la trama scivola via che è una bellezza, c’è tempo per parlare di Lumley e Barker, di Villiers de l’Isle Adam e Lovecraft, di Burton e della new-wave dell’horror orientale, creando così un’ambientazione che farà sorridere di piacere gli appassionati del weird.
Buono Il funerale, un testo decisamente dark in cui una ragazza mette in scena, aiutata da due amici, le sue esequie.
Si prosegue con La locanda alla fine dei mondi, uno dei migliori racconti dell’antologia, in cui due giovani e scazzatissimi amanti del decadentismo, sorpresi da un temporale durante un’escursione, trovano rifugio in una baita. Oltre alle eccellenti ambientazioni, è il nucleo narrativo stesso a essere molto curioso, perché Delacroix miscela sapientemente un contesto montanaro con arte orientale, disagio giovanile e ambientazioni che sanno tanto di Grand Guignol.
E poi la volta di Silenzio Lunare, che dimostra ancora una volta la passione dell’autore per l’oriente; qui siamo in Giappone e seguiamo due giovani studentesse che si apprestano ad andare al cinema per vedere l’ultimo capolavoro del regista Takashi Miike. Il racconto più triste del lotto.
L’ultimo pezzo, Alla Deriva, tratto da un soggetto di Zefiro Mesvell, è una storia dal taglio decisamente onirico in cui Delacroix riesce a creare poetiche atmosfere da incubo plasmando le frasi a suo piacimento.
C’è poco altro da aggiungere, se non che il volume, ahimè, ha però un grande difetto. E’ troppo corto: dopo 150 pagine se ne vorrebbero almeno altrettante, ma c’è da dire che il prezzo del libro è davvero contenuto.
Dunque fatevi prendere per mano dal burattinaio nero, infilate nel lettore un buon disco dark d’annata e godetevi ‘sta antologia!
Buona lettura!

Qui il link alla pagina ufficiale sul sito di Edizioni XII.

9 commenti:

  1. Questo mi attira parecchio, segnato!

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  2. E' più bella la recensione del libro. Chapeau! ;-)

    Un inchino,
    Ian

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  3. Gran raccolta. Io l'ho letta due volte, ma questa recensione mi ha stuzzicato di nuovo. Va a finire che vado a farmi un giro in "Oratorio..."
    Mitico Ian!
    Saluti weirdiani ;-)
    Jakken

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  4. Cazzo Ian
    Questa cosa della migliore rece lhai detta anche a Silente! ahahahah
    Ora me la leggo... ma abattoir non lo rileggo! non sono mica Jakken io...
    Anche se il pezzo d'apertura.... quasi quasi...
    :)

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  5. :-) Adesso vado a cercarmi la recensione di Silente per vedere se è vero!

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  6. Veramente un'ottima raccolta, con alcuni spunti davvero geniali. Samuel

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  7. La recensione di Silente è peggiore a prescindere.

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  8. Ehm, Luigi, mi indichi il ristorante dove fanno una grigliata di pesce fenomenale?

    Ian

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