mercoledì 16 settembre 2009

Nocturnus: Death metal, tastiere e fantahorror.

Nuova sezione del blog, e via con un’altra delle mie passioni, la musica. Poiché questo piccolo spazio che mi sono ritagliato nell’Internét si chiama Weirdiana, non aspettatevi la recensione dell’ultima fatica discografica dei Pooh.

Cercherò di commentare album strani, quelli che a un primo ascolto mi hanno fatto aggrottare le sopracciglia e porre la fatidica domanda: “Ma che diavolo è ‘sta roba?” Essendo un grande appassionato di hard rock ed heavy metal (con una predilezione per la frangia estrema e sperimentale del genere), non dovrebbe essere un problema. Si comincia con un album seminale, che ho rispolverato di recente.


È il lontano 1992. I Nocturnus danno alle stampe il loro secondo lavoro, Thresholds, dal titolo quantomeno adeguato; “soglie”, appunto, quelle che soltanto due anni prima la formazione statunitense aveva oltrepassato con un ottimo album, The Key, riscrivendo i canoni fondamentali del death metal e ponendo una pietra miliare della sperimentazione in ambito estremo.

Fautori di un riffing intricatissimo e innovativo, i Nocturnus non si limitarono a creare un impressionante tappeto chitarristico e a scrivere lyrics futuristiche e fantascientifiche, ma inserirono nel loro sound uno strumento anomalo per un genere in piena ascesa che faceva dell’intransigenza sonora il suo punto di forza: le tastiere.

Se l’associazione death-tastiere vi fa pensare ai Children of Bodom, siete sulla strada sbagliata; i Nocturnus non usavano lo strumento in maniera invasiva e barocca per rendere il loro prodotto più fruibile, ma se ne servivano per fare male e creare atmosfere. Spesso malsane. Le keyboards di Louis Panzer, mastermind del gruppo con il batterista Mike Browning, ex Morbid Angel, davano vita a un inquietante sottofondo musicale, a tratti epico, a tratti avveniristico, ma mai predominante sugli altri strumenti, volto a sottolineare le interessanti tematiche e le ambientazioni dei testi.

Thresholds segue la scia di The Key, abbandonando il formato concept-album del suo predecessore per concentrarsi su otto canzoni che costituiscono ognuna una storia a sé; e, come vedremo, i testi di Thresholds non sfigurerebbero in una bella antologia fantahorror.

Apre le danze Climate Controller, brano introdotto da un’invocazione recitata e da inquietanti rumori di sottofondo, che sfociano nel virtuosistico rifframa del duo Davis-McNenney, capace di infilare scale mozzafiato nei punti più impensabili delle song. Pezzo intricato, destrutturato, ricco di cambi di tempo e accelerazioni repentine, ma comunque orecchiabile e godibilissimo, coadiuvato da lyrics che farebbero la gioia di ogni aficionados della fantascienza; una sorta di visione futuristica della guerra, con eserciti in grado di modificare a loro piacimento le condizioni climatico-ambientali tramite l’utilizzo simultaneo di antichi rituali demoniaci e tecnologie avanzatissime, come ci canta con folle abbandono Dan Izzo nel chorus: Fusion of the ancient ways/ With modern tech control/ Bringing atmospheric change/ Master of climate control. E dietro tutto questo le angoscianti trame tastieristiche di Panzer che conferiscono alla canzone un pathos unico.

Giusto il tempo per riprendersi dallo shock iniziale che il drumming tribaleggiante di Browning, accompagnato da uno splendido e melodico assolo, ci trascina nel secondo pezzo, Tribal Voudun. Come si deduce dal titolo la canzone parla di voodoo, zombificazione e del Baron Samedi; tematiche trite e ritrite nell’heavy metal, ma diverte la ricercatezza con cui i Nocturnus impreziosiscono i testi di termini specialistici inerenti la famigerata religione haitiana. Symbolic designs/Carved in the earth to beckon LEGBA. O ancora: Deity of fire OGU/Protects skin from the flames. E poi, per chiudere: Aimlessly wandering through time/Servant to the Bokor/Le culte Des morts. Musica e testi per il gruppo di Tampa sono due elementi inseparabili. Sedetevi, aprite il booklet di Thresholds e lasciatevi andare, perché il bello deve ancora venire.

Terzo pezzo, Nocturnus in B minor. La prima canzone strumentale del gruppo concede un attimo di tregua ai nostri padiglioni auricolari, ma non alle nostre menti. Fraseggi di chitarra molto melodici supportati da una splendida e sognante base di tastiere, accompagnati da un lavoro di batteria piuttosto semplice. Ottimo intermezzo.

Si arriva poi ad Arctic Crypt, forse il gioiello di un album pieno di sorprese. Una canzone diretta, dalle reminescenze thrash, ma allo stesso tempo suggestiva ed esaltante, dal feeling epico. Spento lo stereo vi ritroverete a canticchiare il ritornello per tutto il giorno, ma ciò non significa che la tecnica compositiva che sorregge il pezzo sia una sciocchezzuola. Bellissimo l’ingresso della doppia cassa sul ritornello, così come il pulsante giro di basso di Jeff Estes. Gli arpeggi melodici su cui si inseriscono assoli micidiali fanno di questa canzone un classico del tecnical death metal.

Il testo è evidentemente un omaggio a due capisaldi dell’horror fantascientifico ormai entrati nell’immaginario collettivo, At the Mountains of Madness di Lovecraft e The Thing di Carpenter, e lo riporto per intero qui di seguito.


Locked inside the ice below
Forgotten long ago
An alien object lies in wait
Lost beneath the snow

Sismic readings from the north
Lights above the poles
Curious humans drawn to the sight
Staking camp in the frozen night

[CHORUS]
Legends told of the evil within
Still, forewarned, the man came in
Seeking knowledge forbidden to man
Bringing death unto their land

Nocuous emissions alert the team
The source is soon revealed
A strange capsule scarred by time
Covered with a foreign script
Anxious to unlock its secrets
They crack open the seal
Unleaching the beast contained inside
The frozen arctic crypt

[CHORUS 2]
Legends told of the horror within
An ancient traveller of the stars
Left entombed until disturbed by man
Bringing death unto their land



Siamo appena a metà full-length, ed ecco che i Nocturnus calcano ancora la mano con un brano massiccio, imponente, dove le arzigogolate strutture musicali del quintetto si accavallano a creare un’armonia perfetta. Il testo è fantascienza pura: siamo nell’anno 2023 e dei non-meglio-precisati signori della guerra, a capo di alcune multinazionali, costruiscono una colonia sottomarina, Acquatica (titolo del pezzo), per acquisire il dominio assoluto degli abissi e delle terre emerse. Panzer si diverte con gli effetti delle tastiere intessendo un insieme di gorgoglii e suoni acquatici che vanno a braccetto con l’atmosfera marziale della canzone. Il pezzo più complesso dell’album, ricco di stop’n’go, mid-tempos e cavalcate metalliche, con un Dan Izzo che si distrugge le corde vocali nel migliore dei modi. Il suo growling può non piacere, ma è di certo particolare, strascicato, lancinante. E con questi bei versi, Lands of solid ground/ Turned into a biodegradable human wastleland/ Pay homage to the Ocean/ Where the kingdom now dwells/ Aquatica, the submerged city, dopo sette minuti e venti secondi, giungiamo alla conclusione del pezzo.

Subterran infiltrator, il brano successivo, canta le gesta di un agente segreto specializzato nell’infiltrazione in basi sotterranee. Anche qui un ritornello accattivante e cantato schizoide, quasi in controtempo con la musica. Ottimo pezzo, l’incredibile stacco centrale vale da solo l’ascolto.

Your universe is just a product of your mind. Comincia così Alter Reality, dove i due chitarristi sfoggiano tutta la loro tecnica e Panzer domina con le tastiere. Il testo narra di varchi spaziotemporali, buchi neri et similia. Un buon brano, forse non all’altezza degli altri, ma comunque sopra la media.

Ed è dopo questa escalation di deliri fantascientifico-musicali che si arriva all’ultimo brano, Gridzone. A tratti dissonante, brutale, veloce, la summa di quanto sono stati capaci di proporre al pubblico metal i Nocturnus, uno di quei gruppi senza i quali l’evoluzione nel rock estremo non esisterebbe.

Se si vuole trovare un difetto a questo album si può puntare il dito contro la produzione, un po’ ovattata, che a volte sacrifica il growling straziante di Izzo, ma è una pecca su cui si può facilmente soprassedere. Anzi, ci regala un fascino retrò che sa di cose perdute. Dischi come questo non ne usciranno più, suppongo.

Il percorso dei Nocturnus, ahimè, è stato simile a quello di molte altre band che facevano della sperimentazione e di una certa attitudine progressive il loro marchio di fabbrica (vedi alla voce Atheist, Pestilence, Acid Death, Gorguts, Prong.) Ovvero il mesto trittico scioglimento del gruppo-pochi fan in lacrime-riscoperta e osannamento della band anni dopo. Un destino cui andarono incontro molti gruppi considerati “troppo avanti.”

I Nocturnus, dopo Thresholds, pubblicarono un EP che lasciava intravedere grandi cose, per poi gettare la spugna tra l’indifferenza generale e dedicarsi ad altri progetti.

Nel 2000 una reunion e l’uscita del disco Ethereal Tomb, una ciofeca memorabile che nulla ha a che fare col glorioso, seppur breve, passato della band.

5 commenti:

  1. E pensare che in quell'epoca ho ascoltato/collezionato tutte le cose più underground e misconosciute, eppure questi me li sono persi!
    Rimedierò.

    Ian

    p.s. devono essere stati i primi insieme ai Therion a inserire tastiere nel death...

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  2. Io li ho scoperti per puro caso, classico acquisto a scatola chiusa!
    Sì, credo che insieme ai Therion si possano considerare i precursori del connubio death-tastiere. Però se contiamo anche i demo penso che i Nocturnus siano venuti prima. Quando l'hai ascoltato fammi sapere che te ne pare! :-)

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  3. Sempre conosciuti di fama, ma anch'io non li ho mai ascoltati. Devo dire che non sono un grande amante del death ultra tecnico, e cose assurde come Cynic e Atheist e ultimi Pestilence non riesco proprio a digerirle (penso si tratti dell'unico sottogenere metalloso che mi gusta poco), ma i Nocturnus, proprio per le tematiche e certe atmosfere, mi hanno in qualche modo sempre attratto.
    Prima o poi recupererò un loro disco. :)

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  4. Intanto ho appena trovato i primi due cd. Appena arrivano ti dico ;-)

    Ian

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  5. A circa 18 anni, nel 1988, un amico mi diede una cassetta di un demo di un gruppo. Erano i Nocturnus, in pratica la versione grezza del futuro THE KEY. Che dire, io li trovai favolosi, geniali (tastiere che si insinuavano tra le pieghe del suono granitico) e visionari. Debbo dire, con piacere, che il tempo ha loro reso giustizia

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